Il papà di Kean: "Moise era interista ma lo vorrei per sempre alla Juve"
Non ha la cittadinanza italiana e va poco allo stadio: "La Juventus mi ha promesso due trattori ma non me li ha dati"
Non sempre in un'intervista le risposte sono quelle che ci si aspetta. Se poi di mezzo ci sono il calcio e il tifo, gli imprevisti sono sempre dietro l'angolo. Ecco allora che Rai Radio1 nella trasmissione "Un giorno da Pecora" ha regalato momenti sorprendenti intervistando Biorou Jean Kean, il padre di Moise, attaccante della Juventus che ha stupito tutti segnando con la maglia della Nazionale e scrivendo un pezzo di storia. Si comincia dall'infanzia e da una fede calcistica che Moise oggi non confesserebbe mai: "Era dell’Inter, perché gli piaceva Oba Oba Martins. Quando andavo in giro con lui mio figlio mi diceva: ti prego, comprami la maglia di Martins”. Poi Moise ha iniziato a giocare sul serio, inizialmente con la maglia del Torino. "Io l'ho mandato alla Juve perché sono tifoso bianconero. Io lo voglio per sempre alla Juve, che è nel mio sangue: io sono nero e il mio sangue e bianco". Giocare sempre nella Juve probabilmente significa che Moise potrebbe giocare al fianco di Balotelli, il suo giocatore preferito, solamente con la maglia azzurra. "E’ il suo giocatore preferito ora. Anche se io gli ho consigliato di non copiare in tutto e per tutto Balotelli".
Non frequenta moltissimo lo stadio, papà Kean. La voglia ci sarebbe anche, ma c'è qualcosa di mezzo. "Ho un problema con la società Juve: non mi danno più biglietti per andare allo stadio. C'è stato un problema. Io e la mamma di Moise siamo separati e lei, in passato, voleva portare il ragazzo in Inghilterra. Io gli dissi che lo avrei fatto restare in Italia ma in cambio avrei voluto due trattori. Loro mi dissero che non ci sarebbero stati problemi. E invece non me li hanno ancora dati, non mi danno più biglietti e non mi ricevono neanche più".
Biorou Jean Kean non ha la cittadinanza italiana, anche se ha fatto richiesta essendo in Italia da molti anni. E dal punto di vista politico ha le idee chiare: "Io sono leghista, a me piace la Lega e la politica di Salvini. Se non voglio che che arrivino i migranti? In questo momento sto cercando un’associazione per bloccare l’immigrazione dalla partenza. Aiutiamoli a casa loro insomma? Esatto, è giusto
Juventus, Kean risponde al padre: "Devo tutto a mia madre"
L’attaccante bianconero e della Nazionale italiana ha contestato le dichiarazioni rilasciate ieri dal papà: “Non dimenticate mai chi vi ha dato da mangiare”
Il papà di Kean era intervenuto raccontando aneddoti sulla vita del piccolo Moise, in questi giorni uomo-copertina per i due gol in due partite segnate in Nazionale. E c'era stato anche un pizzico di polemica nei confronti della Juventus rea di non avergli dato due trattori come pagamento per aver convinto il ragazzo a restare a Torino. A rispondere al papà è stato lo stesso Kean attraverso una storia sul suo profilo Instagram.
In collegamento con "Un giorno da Pecora", su Radio 1, Biorou Jean Kean si professa leghista e sostenitore delle politiche di Matteo Salvini sull'immigrazione. Il papà dell'attaccante della Juventus e della Nazionale rivela anche che il figlio Moise, da piccolo, era acceso tifoso interista e fan del nigeriano Obafemi Martins.
MOISE RISPONDE— Madre e padre del numero 18 juventino sono separati e il nuovo goleador azzurro ha voluto precisare i meriti del suo successo: “Trattori? Non so di cosa si parli. Se sono l’uomo che sono oggi è solamente grazie a mia madre. Con questo ho detto tutto! E non dimenticate mai chi vi dà da mangiare quando avete il cibo in pancia”.
Il padre di Kean attacca Moise: “Non capisco perchè parla così. Si sta montando la testa”
Il padre dell’attaccante bianconero ha rilasciato delle dichiarazioni
TORINO – Il padre dell’attaccante bianconero, Moise Kean, Jean, ha risposto al post pubblicato qualche giorno fa da suo figlio, attaccandolo ai microfoni di Radio 24, durante la trasmissione La Zanzara.
SULLE DICHIARAZIONI DI MOISE – “Non so perché mio figlio parla così, non lo so. Non è semplice, ma c’è qualcuno sotto. Mio figlio non può dire questo. Io lo conosco, è un ragazzo tranquillissimo. C’è qualcuno che gli sta montando la testa, non so se per difendere, non lo so proprio”.
SULLA MADRE – “Devo tutto a mia madre”, aveva scritto Moise. Questo il pensiero del padre: “Si, ma io ho la coscienza tranquillissima. Sono io che lo portavo agli allenamenti a Torino. Mi dispiace che è andata così. Ma so che mio figlio non può dire queste cose…sono sette anni che non lo vedo. Lo vedo solo in televisione. C’è stato un disastro familiare, ma sono cose private. Ma so che lo amo sempre e lui ama me”.
SULLA JUVE – “E’ un ragazzo che io ho cresciuto. Se ho dato soldi alla mamma? Alla mamma no, ma queste sono cose false. E sapete perché? Perché prima di andar via da casa, mio figlio era già alla Juve. L’ho portato agli allenamenti dall’Asti Calcio a Torino, al Toro. E dal Toro alla Juve. Io ho seguito il ragazzo, non è mai stato abbandonato. Lui dice il contrario? Gli hanno montato la testa”.
SUI TRATTORI – “Lui non lo sa, questa storia. La mamma voleva portarlo in Inghilterra. La Juventus mi ha chiamato per bloccare il ragazzo. Io ho chiesto, se lo blocco questa firma come padre, cosa mi date? Loro hanno risposto, basta che firmi, ti daremo quello che chiedi. Io ho detto loro che come agronomo sto preparando il mio progetto. Avevo bisogno di un trattore o un mietitrebbia per lavorare e mietere. E loro hanno risposto che non ci sono problemi”.
SUI FIGLI – “Adesso ho una fidanzata e ho comperato la televisione e non farò più figli. Ho fatto tanti figli perché non avevo la televisione. A me i soldi non servono. A me serve soltanto il trattore per andare a lavorare. Figlio mio, ti voglio bene come tu sai, mi manchi, io ti aspetto a casa per festeggiare i tuoi due gol nella Nazionale italiana”.
SU SALVINI – “E’ un angelo mandato da Dio, sta salvando il popolo, gli esseri umani. E’ un angelo proprio, lo vedo come un angelo mandato da Dio. Non è razzista, lo porterò a Bruxelles. E’ una bravissima persona. Sta lottando per salvare gli immigrati che muoiono in mare. Da quando c’è Salvini, ci sono meno morti. E’ giusto chiudere i porti, e aiutarli a casa loro. Bloccarli è meglio che farli morire in acqua”.
Juventus, Kean: viaggio a casa di Moise. La sua Asti: “È uno di noi”
La maestra: “Gli piaceva ballare. In quinta elementare sembrava la mia guardia del corpo”. L’assessore allo sport: “È un astigiano più solare e aperto”. Il barbiere di fiducia: Credetemi, il paragone con Balotelli non regge”
Su queste placide strade del Monferrato, tra torri e campanili, si sente appena l’ululato degli imbecilli: è un suono lontanissimo che pare arrivare da un’altra epoca. Incomprensibile per chi ha preso per mano l’italianissimo bambino dalla pelle scura e lo ha accompagnato all’età adulta. Asti non è soltanto la casa di Moise Kean, è il porto sicuro della punta di Juve e Nazionale. Il luogo che custodisce le radici, la provincia abitata da facce amiche. Per questo anche gli astigiani sono rimasti di ghiaccio quando hanno visto il concittadino piantarsi davanti alla curva di Cagliari, contaminata da un piccolo gruppo di razzisti. Proprio lui, «Mosè», che aveva l’argento vivo addosso come sanno questi corridoi pieni di disegni alle pareti: le sue elettriche lezioni di danza hanno fatto storia nella scuola elementare «Baussano». «Venne da noi in seconda e in quinta sembrava la mia bodyguard… Pur di farlo stare fermo, gli consentivo di insegnare a ballare ai compagni dopo la mensa», racconta la maestra Lorella Forastiere seduta tra i banchi dell’istituto. Il piccoletto portava i cd e appendeva un foglio per le iscrizioni: «Seguiva l’ordine rigorosamente, un allievo alla volta, e poi si scatenava».
Grida di gioia, niente di più lontano da certi cupi suoni che Moise sente negli stadi. Il razzismo, quello vero, Kean lo ha sentito solo con gli anni, quando qualche rivale non sapeva come fermare la furia. «Giù le mani dal nostro ragazzo, un autentico astigiano, più solare e aperto degli altri piemontesi. Ed è come se l’intera città avesse allargato con lui le braccia a Cagliari: ma davvero nel 2019 parliamo di questo?», aggiunge Mario Bovino, assessore allo Sport. Lui ha scelto l’attaccante come testimonial del progetto «Sport per tutti» che aiuta l’inserimento sportivo di ragazzi di famiglie svantaggiate. Non avevano molti soldi neanche i Kean, passati da una casa popolare all’altra, fino all’ultima in via Filippo Corridoni, zona residenziale che attraversava vestito da calciatore il piccolo Moise. Per tutti Mosè per via dei sogni biblici della cattolicissima madre Isabelle. La sua storia di sacrifici è un esempio di integrazione attraverso il sudore: prima il trasferimento da Vercelli ad Asti quando il secondogenito aveva solo cinque anni, poi le lunghe giornate da domestica dopo la fuga del marito e l’educazione in solitaria dei figli. Con l’aiuto di un amico speciale, un oratorio multietnico, vera barriera cittadina contro ogni inciviltà. Stava sempre qui Mosè, al «Don Bosco». Aspettava fino a dopo cena, sperando che qualche bimbo magnanimo lo facesse giocare. Don Roberto Pasquero lo rimproverava quando si arrampicava come un gatto, adesso invece si emoziona davanti alla tv: «Una rete in finale di Champions League con la mia Juventus, questo voglio da lui».
La maglia di Martins, idolo di infanzia prima di Balo, lasciò di colpo spazio alla divisa ufficiale del Toro: il responsabile delle giovanili dell’Asti, Renato Biasi, lo vide intrufolarsi con la scusa che il fratello Giovanni, 7 anni più grande, si allenava con i Giovanissimi. Poi, vedendolo all’opera, lo portò di gran fretta nel capoluogo. Kristian Reka, amico di infanzia ad Asti, ha condiviso quegli anni di formazione granata: «In campo e fuori qualcuno potrà pure insultarlo per ignoranza e paura, ma non lo fermerà mai», urla adesso. Dopo il Toro, nel 2010, ecco il salto di Mosè in bianconero, snodo decisivo a sentire un altro amico, Alessandro Sesta, professione parrucchiere. Ricoperto di tattoo e con barbona da asceta, è lui a mettere le mani sugli importantissimi dread: «Mi occupo della sua testa solo così, per il resto ci pensa la Juve: credetemi, il paragone con Balotelli non regge…». E poi, tra un taglio e l’altro, altre parole sulla famiglia e l’attualità: «Allegri lo gestisce alla grande, ma mamma Isabelle è il top: è più tedesca che ivoriana. A Cagliari Bonucci ha parlato in maniera precipitosa, a me piace più vedere Mosè in azzurro: lui non è italiano, ma ultrà-italiano». Pure alla maestra Lorella si è stretto il cuore martedì sera: nel caos di Cagliari ha rivisto lo sguardo triste del suo pupillo quando la madre lo rimproverava dopo una pagella così così. Nell’ultimo incontro ad Asti gli ha ricordato di quando dopo un torneo gli portò un autografo di capitan Zanetti fatto fare apposta per lei, interista da generazioni. «Resta sempre bambino», gli scrive spesso. Resti come quando all’intervallo sfidava il mondo con una palla: «Facciamo Mosé contro Baussano, io contro tutti», diceva convinto.
Juve, Kean: “Sono nato sulla strada e ho sofferto. Chiellini mi lascia cicatrici...”
La stellina si confessa su "The Players’ Tribune": “Rubavo i palloni a un prete, poi i bianconeri mi hanno cambiato la vita. Il capitano? Sa spaventarmi...”
“Remember the name”. Ricorda il nome, si legge su The Players’ Tribune, il sito di culto in cui gli sportivi raccontano se stessi senza filtri. E sarà da ricordare a lungo il nome di Moise Kean, il baby prodigio bianconero e della Nazionale: sia per iscritto sia in un bellissimo video di accompagnamento parla della sua vita, una lunga scalata dall’oratorio Don Bosco di Asti fino alle luci dello Stadium, con una palla sempre come compagna fedele: “Da bambino ho sofferto abbastanza, non era facile, non ho avuto un passato come tutti gli altri ragazzi - racconta 'Mosé' -. È per quello che delle volte mi metto lì e penso a quanto sono stato fortunato ad aver tutto questo oggi. Ringrazio Dio ogni giorno. Il primo ricordo che ho del pallone è ad Asti, in oratorio. Facevamo i tornei su un campo in asfalto, se cadevi ti facevi male.Una volta ero così disperato che per giocare ho rubato il pallone a un prete. Era un brav’uomo, teneva tutti i palloni in un cassetto. Però non lo chiudeva mai. Quindi ogni volta che perdevo la mia palla, magari perché l’avevo scagliata oltre una staccionata, andavo di nascosto all’oratorio, aspettavo che il prete salisse di sopra, e ne prendevo una dal suo cassetto”.
QUANTE BATTAGLIE— “Ogni giocatore doveva pagare 10 euro e io li avrei chiesti, presi in prestito, rubati e risparmiati per tutta la settimana in modo da potermi permettere la mia commissione. La squadra vincente prendeva tutti i soldi. Era una battaglia ogni settimana, se ti entravano in contrasto dovevi fingere di non sentire male, così le persone non ti avrebbero preso in giro. È così che ho imparato a giocare a calcio. È qui che è iniziato il mio viaggio. Quando giochi a calcio in questo modo, impari a giocare con la fame. Impari che il calcio, come la vita, ha alti e bassi. A volte segni all’ultimo minuto di una partita e vinci 60 euro per tutti, a volte no”.
CHIELLO NON PERDONA— “Quando cresci così, anche Giorgio Chiellini in allenamento non sembra così spaventoso. Cioè, non è vero, in realtà è spaventosissimo. Ho ancora una cicatrice sulla caviglia dall’ultima volta che ho provato a fare una giocata contro di lui. È cattivo. Quando mi alleno adesso, vedo un giocatore come Paulo Dybala e penso: ‘Cavolo, questo ragazzo spaccherebbe all’oratorio’. Penso sempre ai ragazzi di lì, perché è da lì che tutto è cominciato”.
CAMBIA LA VITA— “La mia vita è cambiata quando a 16 anni ho esordito con la Juventus. Già da un po’ mi allenavo con la prima squadra, a un certo punto contro il Pescara il mister mi chiede di andare a scaldarmi e io non ci credevo. Il tempo stava per finire, eravamo sul 4-0 per noi e pensavo: ‘Perché non mi fa entrare?’, mi giravo sempre verso l’allenatore e avevo perso un po’ le speranze. Invece no, era l’80esimo e mi chiama, allora io corro veloce, mi batteva il cuore a mille. E mi hanno applaudito tutti, appena sono entrato al posto di Mandzukic ho pensato a tutte le partite al Don Bosco giocate sull’asfalto. In quel momento ero allo Juventus Stadium con Dybala, Cuadrado, Marchisio, Buffon... Non ho mai sentito un’emozione così forte in vita mia. Tutto questo mi è stato donato da Dio. In parte Dio e in parte la strada. La strada ti insegna a essere uomo, a capire la realtà della vita e a capire ciò che ti sta intorno, nel bene e nel male”.
Edited by _Vale_ - 23/7/2019, 11:15